Questa recensione è dedicata a Fabiana, che mi legge sempre: in bocca al lupo per la tua nuova avventura. E speriamo di non aver fatto errori.
E finalmente ci siamo. Alla mia prima recensione del 2017. Sono sincero: avrei voluto ripetere la performance dello scorso (scorso!) anno, quando a Dicembre 2015 recensii il OnePlus X descrivendo lo stato dell’arte di Android. Ma non è cambiato molto, sinceramente. La recensione del Moto Z Play dice tutto.
E quindi la mia ultima recensione del 2016 (scritta proprio nei primi giorni del 2017) mira a descrivere lo stato dell’arte della tecnologia e del progresso, puntando le giuste considerazioni su quello che ci aspetta. Quest’anno abbiamo visto davvero di tutto: nuovi smartwatch che però non hanno scalfito minimamente l’opinione pubblica, frigoriferi con Windows 10, droni dappertutto – anche nelle consegne di Amazon – , assistenti virtuali sparsi per casa (vedi Amazon Echo e Google Home), e tanti, ma tanti nuovi smartphone. Un po’ uguali a quelli che avevamo visto nel 2015, ma non proprio. E poi è nata una nuova categoria di prodotto: le cuffie.
“Ahah.Ah.Ah. No. Le cuffie ce stanno da quando esiste il jack, 100 anni, forse pure deppiù”
Eh sì, ma ora le cuffie si stanno evolvendo. E non stanno diventando meramente smart: stanno diventando lo strumento che fornisce un nuovo tipo di interfaccia non-visuale ad un processo di interazione utente che fino ad ora abbiamo preso per gioco: il riconoscimento vocale.
Sì, da quando c’è Siri (dal 2011 quindi), ci divertiamo tutti a chiederle
“Mi vuoi sposare?”
“Dove posso buttare un cadavere?”
“Raccontami una barzelletta”
Chi non l’ha fatto. Ma finiva là. Io ho continuato ad usare Siri piuttosto che Google Now quando sono in macchina ed ho bisogno di mandare messaggi, chiamare e sapere come sarà il tempo il giorno dopo, o qualche ora dopo. Ma ripeto: utilizzo circostanziato al 5% del mio tempo durante la giornata (non è che sto sempre a parlare col telefono).
E invece ora, dopo il presunto fallimento degli smartwatch come nuovo hub per la vita digitale – non ho preso l’Apple Watch serie 2, e del Pebble che avevo ordinato ho ottenuto il rimborso dopo la svendita a Fitbit – , le cuffie sembrano la nuova frontiera di interazione uomo-macchina. E le nuove, prime AirPods di Apple sanciscono una nuova sfida da affrontare.
TAP* TAP** … “Siri, riproduci l’ultimo album dei The Weeknd
Sì. per me ci siamo. E se non descrivo una scena-tipo, non so come spiegarlo: Mi sveglio, stacco il case delle AirPods dalla carica (con il classico cavetto Lightning, niente di fantascientifico) e tolgo una delle due cuffie, una a caso. La metto nell’orecchio, prendo l’iPhone, controllo che sia accoppiato:
TAP* TAP*… “[Siri], controlla i miei appuntamenti per oggi”
Siri: “Ok Giacomo, hai 2 appuntamenti oggi, uno alle 12:00 […] e uno alle 18:00 […].”
TAP TAP** … “[Siri], riproduci la playlist del risveglio al mattino”
🎧 🎶🎶🎶🎶 🎧
Cucina, ricevo una chiamata:
TAP* TAP**
[conversazione al telefono]
Vado in bagno, mi preparo, mi vesto e tornando in camera da letto metto anche l’altra cuffia all’orecchio. Sono pronto per uscire ed andare in università.
TAP* TAP** … “[Siri,] riproduci una playlist dance”
🎧 🎶🚶🏻🎶🚶🏻🎶🚶🏻🎶 🎧
Arrivo in università, entro il aula studio, tolgo le cuffie. Preparo il MacBook, i libri, gli appunti, l’iPad.
Sono pronto per studiare e lavorare. Rimetto le cuffie:
TAP* TAP** … “[Siri,] riproduci una playlist per la concentrazione”
🎧 🎶👨🏻💻🎶👨🏻💻🎶👨🏻💻🎶 🎧
Non so se sono riuscito a rendere l’idea, magari fatemelo sapere.
Il punto è che le AirPods, così come le Beats Solo3 che ho recensito qualche tempo fa, hanno la stessa magia: il cuore tech è il chip W1, un vero e proprio computer che in questa prima generazione di nuovi dispositivi fa vedere il potenziale, ma non lo esprime nemmeno un po’.
Mi spiego meglio. Se sulle Beats Solo3 la magia consiste nell’accoppiata perfetta e senza intoppi delle cuffie con tutti i dispositivi Apple contemporaneamente (tranne la Apple TV, ndr), sulle AirPods la questione è diversa, e mi ha fatto capire di che pasta sia fatto questo chip W1: è una sorta di chip programmabile. Ora non ricordo il termine tecnico per descriverlo, ma l’Apple W1 non è un chip programmato una volta e per tutte. È un chip che viene programmato specificamente per ogni modello di cuffie, e che agisce al meglio in ogni situazione – con le dovute riserve per i bug.
Per esempio le AirPods, oltre a fare la magia dell’accoppiamento, sono in grado di riconoscere il movimento che le porta all’orecchio e, di conseguenza, attivarsi solo all’evenienza. Questo grazie all’accelerometro, il sensore di prossimità, quello ottico e quello vocale inseriti nel SoC di Texas Instruments che gestisce il chip W1.
Le AirPods si connettono davvero immediatamente
È una figata, sì. Ma non è tutto oro quel che luccica purtroppo.
La prima volta che le ho accoppiate, ho dovuto aspettare circa 30 secondi prima che si accoppiasse a tutti gli altri dispositivi.
“Ho capito, ma so’ 30 secondi, che te frega, shalla”
Eh no. Gli ho dato 180€ e me le hanno vendute come “pairing immediato”, quindi lo pretendo. Ma dato che succede solo una volta il pairing, te lo dimentichi facilmente.
Poi – e questo non l’ho capito bene, ma provo a dare una spiegazione – , se copro la scocca con le dita, tutte le frequenze basse e più della metà delle frequenze medie si annullano. Quindi immagino che quella retìna che si trova sulla scocca, nella foto in basso, sia lo speaker di suddette frequenze. E quindi quello che guarda l’orecchio da dentro sia lo speaker per le frequenze alte.
Magari mi sbaglio, ma è una teoria.
Devo comunque ammettere che il volume complessivo sembra un 10–15% più alto che sulle normali EarPods, ma io non tengo mai il volume alto al 100%, quindi non è che noti la differenza.
È poi doveroso precisare una cosa: con i dispositivi in generale, queste cuffie si connettono attraverso protocollo Bluetooth, e con i dispositivi Apple tramite protocollo AirPlay (che sarebbe Wi-Fi + Bluetooth), ma per tenere la sincronizzazione tra di loro ho il presentimento che usino una specifica frequenza radio: quando mi allontano dal dispositivo oltre il raggio di copertura – circa 6–7 metri, molto minore di quello delle Beats Solo3 – , sento proprio come se ci fossero delle interferenze di connessione, che secondo me sono dovute al fatto che la frequenza su cui risiede il segnale audio è diversa da quella che viene gestita internamente da ognuna delle cuffie.
Si vedono poco, si ‘mimetizzano’
Inoltre, il protocollo AirPlay che viene utilizzato dalle AirPods è puramente di client, il che significa che quando un server AirPlay (per esempio un iPhone, un iPad o un Mac/Book) trasmette dati (audio nel caso delle AirPods), gli altri dispositivi client non possono interferire nella trasmissione. E immaginate un po’, la Apple TV è un client AirPlay, e non un server, quindi non si può fare il mirroring su Apple TV e lo streaming audio su AirPods, contemporaneamente. E la Apple TV non supporta nemmeno il protocollo condiviso di abbinamento automatico con le AirPods, perché non è un server AirPlay come tutti gli altri dispositivi Apple. Io spero vivamente che questa situazione assurda venga risolta da Apple con un aggiornamento di iOS e tvOS, altrimenti è ridicolo.
Insomma non si possono selezionare contemporaneamente le AirPods e la Apple per streaming diversi. -.-
L’abbiamo capito, le AirPods non sono perfette. E non c’è nessun bisogno che lo siano. Perché:
- È la prima generazione di questa nuova categoria di prodotto;
- Il concept è ancora rudimentale in tutta l’industria: altre cuffie più complesse, come le Samsung Gear IconX o le Bragi Headphones, hanno pulsanti, molte gestures e controlli e più funzioni diverse, tra il fitness tracking, il player integrato, la memoria, etc.
Le AirPods sono delle EarPods senza fili, che si sentono bene e integrano una maniera semplice di usare Siri e, in generale, di usare un paio di cuffie wireless senza impazzire con l’accoppiamento. La domanda vera da porsi in fase d’acquisto è: ma ne vale la pena per 179€?